Intervista con Luigi Ciorciolini

Luigi Ciorciolini

Luigi Ciorciolini, regista e videomaker, da diverse edizioni è docente del corso di Comunicazione mediante immagini del periodo di specializzazione in Video post-production del Master. Luigi racconta dei progetti a cui sta lavorando, di regia, sistemi narrativi, linguaggi figurativi, e degli argomenti principali che vengono trattati durante le sue lezioni con gli studenti .

Quali sono gli argomenti che tratta durante le lezioni?

Si tratta di una esplorazione di quell’area pre-logica in cui si formano le immagini condotta alla luce della psicologia e delle prassi artistiche. Da qua poi ci si avvia verso la formalizzazione dei linguaggi figurativi, parliamo di regia, e verbali, parliamo di scrittura. L’ambizione è quella di analizzare insieme quanto si è mantenuto stabile nella comunicazione con immagini anche sotto la spinta di uno sviluppo tumultuoso delle nuove tecnologie. In armonia con il pensiero di Lévi-Strauss e dei maggiori linguisti, tutto è dentro il linguaggio. Resta però il sospetto che ci sia un’area prelinguistica dove le immagini che potremmo definire fondamentali si formano. Anche le più aggiornate correnti di neuroscienze affermano che ci possono essere trasferimenti tra le varie parti del cervello in una modalità che sfugge al controllo cognitivo. Resta comunque paradigmatica la convinzione di Lévi-Strauss che il senso delle cose nasce dal rapporto tra le cose stesse. In aula esploriamo insieme quanto questo sia vero nel montaggio cinematografico e in quella particolare maniera di montare la comunicazioni verbale o scritta che è la retorica.

Qual è lo stato dell’arte della comunicazione visiva oggigiorno?

E’ una domanda molto impegnativa. Non credo di esser in grado di dare una risposta esauriente ma non voglio nemmeno eluderla. La situazione, come tutte le cose del mondo, è contraddittoria. Da un lato c’è la buona notizia che gli studi dedicati all’immagine, specie per l’impulso dei paesi anglofoni, ma non dimentichiamo Barthes, hanno lasciato l’ambito della storia dell’arte per bagnarsi un poco nell’antropologia in particolare quella del quotidiano, con beneficio per tutti. Il problema è che questi studi, queste proposte di metodo e di approccio, restano confinati in ambiti molto specialistici: insomma, non si traducono modalità operative messe a fattor comune con chi poi le immagini le produce. Dall’altro lato c’è la pessima notizia che le grandi narrazioni simboliche di certa cinematografia o di certa pubblicità stanno cedendo il passo a una narratività semplificata fino all’aneddoto didascalico. Insomma sul carrello in avanti che introduce il personaggio di Ringo in Ombre Rosse di John Ford sono state scritte enciclopedie, così come sulla messa in inquadratura di Godard o Truffaut. Accenno solo all’immensa ricchezza di simbolica messa in opera nella pubblicità del Mulino Bianco e come rispondeva all’immaginario dell’epoca. Se si confronta con le campagne pubblicitarie di Sky con Fiorello credo la differenza parli da sé. Nonostante tutto questo non è un giudizio di merito: è un’ipotesi di mappatura dei confini di una possibile discussione per tentare di capire in quale direzione si va. Certo che quando si vedono certi siti istituzionali, il balbettio comunicazionale, per non dire le sgrammaticature, cascano le braccia. E questo è un giudizio di merito.

Quali sono i progetti a cui sta lavorando?

In questo momento sto seguendo per conto della RAI un Laboratorio sulle nuove tecnologie per il teatro in radio e in televisione. Il Laboratorio, che vede consorziate le maggiori istituzioni formative dell’area di Milano e il Teatro Franco Parenti, lavorerà sulle maggiori criticità che hanno caratterizzato il rapporto tra questi media per cercare di risolverle, nella contaminazione reciproca. Faccio un esempio: da sempre il teatro rinfaccia alla televisione la mancanza della compresenza del pubblico che, invece di essere in sale, se ne sta a casa sua. La domanda che ci si pone è questa: la rete offre una nuova compresenza? Quanto e come diversa da quella offerta dalla condivisione di una sala? Ancora: se quello che si svolge in teatro è in qualche modo, per le sue caratteristiche specifiche, un evento, è un evento anche quello che può succedere in rete?

Un’altra delle criticità che verranno affrontate è quella, storica, dello spazio. Lo spazio teatrale è uno spazio dato. Lo spazio televisivo è qualcosa di completamente diverso che fa violenza alla prossemica teatrale, ridisegnandola. E la rete? Visto che oltre che sullo spazio è possibile intervenire anche sul tempo?

Il punto dell’orizzonte a cui tendere è evidentemente quel nuovo qualcosa che non possa più essere definito adattamento o riduzione e per cui ancora non c’è una definizione comune.

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